Caste, castelli e castighi: ragazzi, è giunta l’ora di svegliarsi!

di Simone Fagioli

 

Cinquanta anni fa, ovvero nel 1957,  il poeta ed editore L. Ferlinghetti pubblicò a San Francisco  Urlo di A. Ginsberg. Ben presto, Urlo diventò, insieme al suo autore, il simbolo di quella che poi sarà chiamata “Beat generation”. Il celebre verso “Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia” divenne l’urlo di denuncia di una società oramai alla deriva (caratterizzata dalla perdita della cura di sé e dell’altro non più visto come un altro se stesso), invettiva sociale che traeva origine dall’urlo nichilista del filosofo tedesco F. Nietzsche che decretava la morte di Dio. L’uomo, senza Dio e senza valori, sbandato e girovago nel mondo, non era nient’altro che l’urlo celebrato dal poeta Ginsberg.

Nel 1979 Francesco Guccini pubblica la canzone Dio è morto, la quale sintetizza consapevolmente e volutamente sia l’urlo della Beat Generation, sia l’urlo nietzschiano.

Dio è morto, però, nell’ultima strofa lancia un grido di speranza non solo per il singolo uomo ma per l’umanità intera: “Ma penso/ che questa mia generazione è preparata/ a un mondo nuovo e a una speranza appena nata,/ad un futuro che ha già in mano,/ a una rivolta senza armi, /perché noi tutti ormai sappiamo/ che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge,/ in ciò che noi crediamo Dio è risorto,/ in ciò che noi vogliamo Dio è risorto,/ nel mondo che faremo Dio è risorto”.

Probabili prolegomeni al nostro discorso sono i versi E. Montale, che nella strofa finale della poesia Non chiederci la parola che squadri da ogni lato… (scritta tra il 1920-1927 e pubblicata nella raccolta Ossi di Seppia), sancisce i limiti umani nella esclusiva conoscenza della negazione dell’essere, nella negazione di ciò che siamo: “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti/sì qualche storta sillaba e secca come un ramo./Codesto solo oggi possiamo dirti,/ciò che non siamo, ciò che non vogliamo/”.

Le considerazioni sopra esposte si possono riassumere nella seguente frase: “Vedo le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia perché non conoscono il proprio essere e perché sono consapevoli della morte di Dio”.

Oggi, 16 ottobre dell’anno 2007 di nostra vita, gli interrogativi restano i medesimi e non sono mutate le problematiche che attanagliano la Nostra società.

Noi giovani abbiamo potenzialmente sia le capacità, sia le possibilità di costruire una società diversa da quella attuale, diversa da quella descritta da Ginsberg o proclamata dall’Oltre-Uomo di Nietzsche. Noi dobbiamo farci avanti, vale a dire noi abbiamo l’obbligo morale ed intellettuale di dire chi siamo, che cosa siamo, da dove veniamo e dove vorremo andare. E nemmeno dovremmo protestare o sentirci offesi se qualcuno dice : “siete ignoranti e per questo motivo dovete studiare ed impegnarvi di più!.

La nostre uniche armi sono: il sapere, unitamente al saper ragionare ed al saper fare; lo scito te ipsum medievale; il concetto aristotelico dell’amicizia, secondo il quale l’amico è un altro te stesso.

In una società dove non esistono più i valori forti del cristianesimo e della legalità, vi è il concreto ed effettivo pericolo dei fenomeni dell’abbandono, del lassismo e dell’indifferentismo.

Servono, pertanto, idee, idee vere, originali, fattive, reali: i giovani hanno il dono della freschezza, della fantasia, della creatività, del voler fare, della morigerata temerarietà, dell’amore. Ma un dono, per essere tale, si deve riconoscere e si deve donare. Crediamo, con cuore sincero, che un giorno i ragazzi doneranno il proprio essere e la propria parte migliore alla società e che, soprattutto, la società vedrà quei medesimi ragazzi come un dono, come il dono più grande.   

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